Dialogo con un malvagio - i cattivi a teatro

 




Parlare di fascino e malvagità per quel che riguarda personaggi teatrali sembrerebbe facilissimo. Molti potrebbero avere in mente qualche cattivo maliardo, che irretisce sul palcoscenico un ingenuo protagonista. Beh, signori molti: pensateci meglio. Quel cattivo è davvero così irresistibile? Alle volte non è - forse - troppo rigido, troppo tipizzato nella sua malvagità?

La scelta di personaggi cattivi e affascinanti è davvero molto più complessa di quel che possa apparire. Il motivo è strutturale al teatro stesso: sin dalle sue origini, infatti, il teatro ha posto problemi, dubbi e dilemmi etici, costringendo il (o la) protagonista a portare in scena il disagio di una scelta morale non inquadrata nella facile dicotomia del giusto/sbagliato.

(Avete presente l’Antigone di Sofocle? In cui Antigone ha piena ragione, ma ha piena ragione anche il suo aguzzino Creonte?).

Nel teatro, insomma, o almeno nel teatro fatto bene, più che soluzioni ci vengono posti problemi, ci viene richiesto di esprimere il nostro giudizio sull’operato di personaggi, che sono tutti giustificabili, tutti comprensibili, tutti attraenti. Tutti parte di noi.

Tuttavia esistono alcuni personaggi, indiscutibilmente seducenti, che possiamo senz’ombra di dubbio indicare come cattivi. Ecco qui una rosa di quattro opere, portate sulle scene in lingue e momenti diversi, le cui vicende ruotano intorno a un malvagio che ci incanta.




LA MEDEA DI SENECA (o la vendetta del malvagio)

Come molte tragedie classiche, quest’opera di Seneca si rifà a una rete di miti condivisi da tutto il suo pubblico. Duemila anni dopo, è utile riassumerli in un antefatto. Medea era una bella e giovane principessa bionda, quando aveva incontrato il principe Giasone. Bella e bionda e giovane e principessa, ma soprattutto una potentissima maga, una donna capace di estrema lucidità e determinazione. I due si innamorano, lui le promette di sposarla; in cambio, lei gli offre il modo per impadronirsi del vello d’oro. Inseguiti dal re Eeta, che vuole recuperare l’oggetto magico e punire il seduttore della figlia, è grazie a lei e alla sua crudele freddezza che riescono comunque a fuggire: Medea infatti uccide e smembra il fratellino, gettandone i pezzi in mare e costringendo il padre ad ammainare le vele per raccoglierne i poveri resti. Giasone torna in patria, ricoperto di onore e stima; la sua unione con Medea gli dà la gioia di due figlioletti. Tuttavia i Greci non accettano il suo matrimonio con la barbara Medea: lo spingono a ripudiarla e scacciarla, e a sposarsi con la principessa greca Creusa.

La vicenda rappresentata da Seneca comincia qui, con il canto nuziale del matrimonio tra Giasone e Creusa.

Medea, affranta, augura la morte alla rivale e ai suoi sostenitori, mentre condanna l’ex marito ad un destino ancora più atroce: la vita da esule. Abbandonata e tradita, priva di ogni speranza (“chi non ha speranze, non ha ragione di disperare”), Medea rivela allora il suo animo indomito, e la sua sete di vendetta. A nulla valgono le esortazioni della nutrice, a nulla le minacce - venate da un recondito timore - del padre di Creusa (“tu che alla perfidia di donna unisci la forza di uomo nell’osare ogni crimine e non ti curi della tua reputazione, vattene, purifica il mio regno!”): il furore dell’ira di Medea non conosce limiti, arde di una potenza inestinguibile, che durerà finché non cadrà il cielo e i fiumi non scorreranno al rovescio. Medea trema di fronte all’impresa che sta per compiere, ma la consapevolezza di aver sacrificato per Giasone “patria, padre, fratello e ritegno” la spinge inesorabilmente a distruggere tutto quello che la circonda.

Fingendosi remissiva e in cerca di conciliazione, dona una veste avvelenata a Creusa: non appena la sventurata la indossa, arde di un fuoco inestinguibile, che riduce in cenere la poverina, i soccorritori e l’intera reggia.

Giasone, scampato all’incendio, intuisce chi ne sia la responsabile e, accompagnato da alcuni soldati, affronta la sua ex compagna. Medea, ancora e sempre inebriata dall’eccidio, fa una dichiarazione di una potenza tale, da meritare di essere riportata: “Ora sì, ora sono Medea; Medea; grazie alle sventure si è compiuta la mia identità. Sono felice, sì, felice di aver strappato la testa a mio fratello, felice di aver fatto a pezzi il suo corpo e di aver sottratto a mio padre l’arcano simbolo sacro (...)”.

La sua vendetta non è però conclusa: Giasone non le aveva neppure concesso di portar via con sé in esilio i loro figlioletti, perché dichiarava di amarli troppo? Bene, sarà sotto i suoi occhi che lei li truciderà lentamente, prima di fuggire su un carro alato.

Questa la vicenda. Medea, dunque, malvagia? Seneca e il suo pubblico non avevano dubbi che lo fosse. E anche il pubblico moderno, se semplicemente elenca i suoi crimini (tradimento, furto, infanticidio del fratellino, assassinio premeditato della rivale e sgozzamento dei suoi stessi figli) non può che considerare le azioni di Medea come la distorsione di quello che dovrebbe essere il comportamento socialmente accettabile di una principessa, di una figlia, di una sorella, di una madre. Eppure è con Medea che tendiamo a solidarizzare, con le sue sventure e con la sua furia: è lei che ci seduce, e ci seduce proprio quando si manifesta come irrazionale distruttrice.

Ecco il punto: in un mondo di deboli e ipocriti, Medea è così totalmente a contatto con le sue emozioni più viscerali e sincere, che nonostante tutte le sue nefandezze non si può che trovare affascinante e attraente la sua personalità.

Medea spaventa il re, si conquista la fiducia di Creusa, annichila quel vigliacco di Giasone: quando parla, tutti - personaggi e spettatori - pendono dalle sue labbra, e con orrore e incanto insieme scoprono che, nel profondo, sono affascinati da lei perché ha la forza di esercitare quel potere mostruoso e coinvolgente che tutti vorremmo mettere in pratica.




RICCARDO III

Composta tra il 1591 e il 1592, il “RIccardo III” è l’ultima di una tetralogia shakespeariana dedicata alla storia inglese, in particolare alla devastazione della Guerra delle due Rose.

Questo, almeno, l’argomento ufficiale. Il problema, il nucleo vivo dell’opera è però molto più universale e inquietante: il potere della seduzione di un uomo senza scrupoli. Contornato da una corte in cui si intrecciano ambizioni e tradimenti, dove la paura, il sospetto e la menzogna sono le principali lingue con cui si relazionano gli uomini, Riccardo possiede al massimo grado la straordinaria capacità di manipolare chiunque - anche chi è perfettamente consapevole della sua crudeltà e dei suoi modi senza scrupoli.

La capacità politica e il carisma di Riccardo dipendono, del resto, dalla sua capacità di utilizzare la parola. Riccardo è deforme, zoppo e fisicamente impacciato; in vari punti del testo viene paragonato a un orribile rospo o a un ragno gonfio di veleno. Questa sua condizione gli impedisce, a sua detta, di comportarsi come un giovane normale; la sua deformità, Riccardo ce la sbatte in faccia, già dalle prime battute, cercando di suscitare la comprensione del pubblico. Insomma, cerca di manipolarci. In che modo? Sollecitando la nostra empatia, creando uno spazio comune con noi, facendo leva su un pensiero che ci tenta: che noi, come lui, siamo immeritatamente esclusi dallo spazio a cui ambiamo.

Di più: con Riccardo, il “levriero infernale” (hellhound), la parola è talmente carica della sua potenza originaria da diventare azione immediata, e violenta. Parlando, insomma, crea mondi più reali del reale. Ecco perché riesce a stravolgere con il suo carisma le riflessioni e i pensieri dei suoi interlocutori, come dimostra il celebre scambio con Lady Anna (-> si veda il filmato).

La giovane e bellissima vedova (cui Riccardo ha ucciso marito e padre) pur consapevole della malvagità e della perversione del principe è irresistibilmente attratta dalla sua abilità affabulatoria: lui stesso resta quasi sbalordito dal successo ottenuto presso di lei (“«Io mi sono ingannato fino ad oggi sopra la mia figura; / S’ella mi trova, al contrario di me, Un uomo di straordinario fascino. / M’accollerò, costi quel che costi, la spesa d’uno specchio;»), e - pur giubilando per aver raggiunto l’obiettivo, non può che disprezzare l’inclinazione umana a farsi ingannare:

“Ma come! Io, che le ho ucciso marito e suocero,
sorprenderla mentre il suo cuore trabocca d’odio,
la sua bocca di maledizioni e i suoi occhi di lacrime,
con accanto il testimone sanguinante del suo odio,
Dio, la coscienza e tutti questi ostacoli contro di me –
ed io, senza altri amici a sostegno della mia istanza
se non il diavolo puro e semplice e la maschera della simulazione –
eppure conquistarla, da solo con tutto il mondo contro!”.

La malvagità di Riccardo e la sua straordinaria abilità sono due facce della medesima medaglia: entrambe dipendono dalla sua capacità di lettura dei desideri più oscuri e istintivi degli esseri umani, di indossare la maschera più adatta davanti ad ogni persona. Come sostiene Thomas Ostermeier (1), il fascino di Riccardo risiede nell’odio e nell’amarezza nutriti da chi lo circonda. Il suo maggior talento consiste dunque nel riconoscere i traumi, le umiliazioni e le offese subite da ciascun personaggio, per poi sfruttarli ai propri fini.

Forte della sua comprensione e della sua duttilità, Riccardo sa così presentarsi come schietto, ingenuo e leale; come amico di valore, come fratello sincero o come amante appassionato, come unica persona a comprendere veramente chi ha davanti, e soprattutto come l’unico che - avendoli capiti - li ama e li appoggia.





IL DUCA DI MANTOVA E DON GIOVANNI - il male che seduce

Un gran numero di filosofi e critici letterari, da Kierkegaard a Snell, sostengono che tutti i miti moderni (Don Chisciotte, Amleto e Faust compresi) siano copie o combinazioni di tradizioni ben più antiche, di epoca preomerica. Che ne esista tuttavia uno, molto più recente, paragonabile a quegli antichissimi racconti: il mito del collezionista di seduzioni. Il mito di Don Giovanni.

Don Giovanni ha una precisa data di nascita, il 1617; e un creatore storicamente ben definito, l’abate Gabriele Téllez, meglio noto con il suo pseudonimo Tirso de Molina. Il successo dell’opera fu tale che in tutta Europa fiorirono opere analoghe: “The libertine” di Shadwell (1675), musicato poi da Purcell; il “Dom Juan” di Molière (1665) , e certamente il “Don Giovanni” di Mozart,composta a partire da un libretto di Da Ponte tra il marzo e l'ottobre del 1787. Ancora, Don Giovanni sarà materia di riflessione per Byron, Goethe, Kierkegaard e Hugo, via via fino ai cattivi seduttori del cinema hollywoodiano.

Ma fermiamoci per un momento alla versione del libertino propostaci da Victor Hugo.

Nel 1832, il celebre autore francese portò in scena un dramma in cinque atti, che debuttò il 5 novembre. Dopo la prima, lo spettacolo venne censurato e bandito per cinquant’anni dalle scene francesi. Motivo? La sua posizione critica verso la nobiltà in generale e la monarchia in particolare. L’opera, tuttavia, raggiunge la notorietà in tutta Europa e, nel 1851, ne venne messa in scena una versione operistica, il “Rigoletto”, composta da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave.

L’antagonista del dramma, il duca di Mantova, come don Giovanni è un inveterato seduttore; privo di ogni senso di responsabilità per le donne che seduce e abbandona, passa da un letto all’altro, collezionando una donna dopo l’altra con esasperante facilità. Per quanto ognuno, sopra e fuori del palcoscenico, non possa che disprezzarlo profondamente, quando il duca entra in scena travolge tutti con la sua vitalità, con il suo senso dell’umorismo, con la sua arroganza, con il turbine seduttivo che emana da lui: la Contessa di Ceprano, la contessina di Monterone, Gilda (la figlia di Rigoletto) e Maddalena (sorella del sicario Sparafucile) sono tanto trascinate dal vortice del suo carisma, da sacrificare reputazione, virtù, legami familiari e la loro stessa vita, in cambio della possibilità di poter stare con lui anche solo una notte. Né il duca ha bisogno delle arti sottili di Rigoletto, o della capacità di inganno di Medea: il suo fascino ha un’elementare base fisica; tanto è vero che ripete la medesima frase ogni volta che sta per cogliere il frutto della sua conquista (“Bella figlia dell'amore, | schiavo son dei vezzi tuoi; | con un detto sol tu puoi | le mie pene consolar.”)

Eppure il suo cieco furore seduttivo non perde di attrattiva; il duca, insomma, procede come un virus, attaccando, contagiando e consumando le donne che per sorte incrociano la sua via.





GASLIGHT

Nel 2022 il dizionario Merriam-Webster ha inserito “gaslighting” tra la lista delle parole dell’anno.

Con questo termine, in psicologia si intende la “manipolazione psicologica che durante un lasso di tempo prolungato induce la vittima a mettere in dubbio la validità dei propri pensieri, la propria percezione della realtà o dei ricordi, e porta a confusione, perdita di sicurezza e autostima, incertezza delle proprie emozioni e salute mentale”(2).

La parola deriva da un’opera teatrale “Gaslight” di Patrick Hamilton: un thriller messo in scena dal 5 dicembre 1938 al 10 giugno 1939 al Richmond Theatre di Londra; da esso poi sono stati tratti un fortunatissimo musical di Broadway e due film. Il dramma è ambientato alla fine del XIX secolo, a Londra. In una bella casa di un quartiere dell’altà società abitano Jack Manningham, sua moglie Bella, la governante Elizabeth e la giovane cameriera Nancy. Sin dalla prima scena, alternando blandizie, ordini perentori e immotivati, richieste impossibili da soddisfare, promesse e punizioni, Jack tenta di logorare l’equilibrio mentale della moglie. Le assicura, ad esempio, che visto che “è stata molto brava” la porterà a teatro; immediatamente dopo, accusandola di aver spostato un quadro senza il suo permesso e di aver proditoriamente nascosto la ricevuta di una fattura, la rimprovera aspramente, accusandola contemporaneamente di essere pazza e di voler malignamente creargli disturbo.

Le parola con le quali aggredisce la moglie sono ambigue e contraddittorie: se dapprima, per spingerla a rinchiudersi nel buio della sua stanza, insiste “Sai benissimo che puoi fare quello che ti pare. Tutto quello che ti pare…”, poche battute dopo svela la natura violenta del suo discorso “ Ascoltami, donna! Se dici ancora una parola io ti do un pugno in testa e ti chiudo al buio nella tua stanza per una settimana!”. Jack condisce un tale atteggiamento con minacce (“devi trovare questo foglietto e ammettere che l’hai nascosto mentendo di proposito… altrimenti, ne subirai le conseguenze”) e con umiliazioni, costringendo Bella ad ascoltarlo mentre si prende gioco di lei insieme a Nancy (con la quale sta intrecciando una relazione sessuale). La cosa che inquieta più la donna, tuttavia, è il fatto che il marito esca spesso senza dirle dove sta andando; tuttavia, dall’oscillazione delle fiamme delle lampade a gas lei ha capito che lui finge soltanto di uscire, per rintanarsi nella zona della soffitta.

Diventa presto chiaro che lo scopo di Jack è quello di portare Bella alla pazzia, e che il suo piano sta riuscendo. Solo l’intervento del detective in pensione Rough riesce a ristabilire l’ordine delle cose: da lui, Bella scoprirà che il marito ha intenzione di eliminarla, in quanto scomoda - benché inconsapevole - testimone dei suoi reati.

Il lieto fine della vicenda risulta consolatorio ma incongruente. Jack, il personaggio in assoluto più riuscito, è stato in grado di plagiare quasi totalmente la moglie, tramite gesti e parole all’apparenza premurosi, con l’alternanza di momenti di grande attenzione e di totale disprezzo, abbassandone le autodifese e convincendola che le sue stesse percezioni, i suoi stessi ricordi fossero frutto di follia. Bella ha in effetti iniziato a convincersi di essere inadeguata, e di aver costante bisogno del controllo e della manipolazione del marito per difendersi da se stessa.


Insomma, il carisma di Jack, - che, a quanto detto nell’opera, gli garantisce un discreto numero di successi amorosi - consiste nella capacità di abbattere i valori, i sentimenti, le sensazioni di chi gli è intorno, per plasmarli secondo la propria volontà.






Se vi ho incuriosito, e vorreste vedere qualche scena delle opere citate, potete trovarle QUI


Sitografia


  1. https://www.ilgiorno.it/cultura/riccardo-iii-teatro-1.3142630

  2. https://www.merriam-webster.com/dictionary/gaslighting

  3. https://www.liberliber.it/online/autori/autori-s/william-shakespeare/riccardo-iii/

  4. https://www.classicocontemporaneo.eu/PDF/263.pdf

  5. https://copioni.corrierespettacolo.it/

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