Nerone: prediletto dagli dei o flagello per gli uomini?
Nessuno degli imperatori romani, al momento della sua ascesa al trono, era gravato da tante speranze quanto Nerone. Giovane, bello, intelligente e cordiale, il successore di Claudio incarnava alla perfezione quel “puer aeternus” che la propaganda augustea aveva promesso come messia per un’età dell’oro.
Nerone nasce ad Anzio nel 37 d.C., figlio di Agrippina Minore e di Gneo Domizio Enobarbo. La madre, donna affascinante e di raro ingegno politico, nel 49 sposa lo zio Claudio, all’epoca imperatore; costui accetta di adottare il ragazzo e di considerarlo alla pari del figlio naturale Britannico. Arriva anzi al punto di farlo sposare con la propria figlia Ottavia nel 53, per rafforzare il suo diritto alla successione; tuttavia qualche mese dopo si mostra pentito della decisione, e manifesta l’intenzione di disconoscerlo. Agrippina, fermamente intenzionata ad assicurare il trono a Nerone, decide di uccidere il marito, facendogli servire un piatto di funghi avvelenati: Claudio morirà dopo una notte di spasmi, nell’ottobre del 54. A questa congiura partecipa anche il prefetto (comandante) dei pretoriani, Afranio Burro, che la mattina seguente si sbriga ad acclamare Nerone come nuovo imperatore.
Il diciassettenne, forte dell’appoggio politico materno e delle armi delle milizie, si presenta in tutto il suo splendore al Senato, promettendo di voler collaborare con i senatori e restituire loro pieni poteri. Per quanto giovane, Nerone sa già manipolare uomini ben più vecchi di lui: quando rifiuta perché troppo giovane il titolo di “pater patriae”, molti senatori si convincono che stia davvero per iniziare una nuova epoca felice.
Del resto, Nerone accetta di buon grado di farsi guidare da Afranio Burro e da Seneca; le sue prime disposizioni riguardano pensioni per i senatori decaduti e la concessione della zecca al Senato stesso. In realtà questi provvedimenti si rivelano ben presto specchietti per le allodole, perché il giovane princeps prosegue in direzione di una centralizzazione dell’amministrazione, facendola dipendere da lui. In questa fase, molte delle sue scelte politiche sono però controllate dalla madre, che umilia il figlio pretendendo di sedersi al suo posto negli incontri pubblici, e ricordandogli continuamente che lei potrebbe facilmente spodestarlo a favore del fratellastro Britannico (mi sono sempre immaginata Agrippina dire al figlio: “Attento figlio mio, come ti ho fatto ti disfo!”).
Nerone però si stanca molto presto dei tentativi della madre di limitare l’autorità del figlio: fa avvelenare Britannico (55) e allontana Agrippina dalla corte. Il risultato è un apparente aumento dell’influenza di Seneca e Burro su di lui. Apparente, perché Nerone intanto si impegna, quasi inavvertitamente, a conciliarsi il favore popolare con donativi, giochi e distribuzione di viveri. Il popolino di Roma lo venera, ed è sempre più convinto che Nerone sia un inviato degli dei, anzi un dio egli stesso! Seneca, pur non comprendendo appieno le finalità del suo pupillo, ne apprezza molto le attenzioni verso la plebe, tanto da utilizzare Nerone come modello per il suo “De clementia”(55): in questo trattato il filosofo dichiara esplicitamente che un sovrano, in quanto divinità sulla terra, abbia il diritto e il dovere di esercitare il potere in modo assoluto per il bene dei sudditi.
Insomma, tutti amano Nerone. Del resto Nerone ama diffondere a Roma giochi, poesia, musica, dando la possibilità a tutti di assistere agli spettacoli - del resto, lui stesso ama gareggiarvi come auriga; ricostruisce Anzio e il porto di Ostia, ormai diroccati; riduce i compensi per i delatori; si dichiara amante della pace, e poco propenso a intraprendere nuove guerre.
A questo proposito, cominciano a nascere delle perplessità: l’economia e la società di Roma si fondano sul suo imperialismo. Cosa potrebbe accadere, se i Romani smettessero di conquistare?
Tuttavia la folla è distratta dalla munificenza dell’imperatore e dall’indizione di nuovi clamorosi giochi, i Neronia e gli Iuvenilia, in cui a combattere nell’arena devono essere i senatori!
Da questo punto in poi, l’immagine sino ad allora luminosa di Nerone comincia a scricchiolare. I senatori sono tutt’altro che contenti di doversi affrontare come bestie o schiavi, e cominciano a criticarlo sempre più apertamente.
Nerone, intanto, si è innamorato perdutamente della bellissima Poppea Sabina. Contro il volere della madre, nel 59 divorzia quindi da Ottavia per sposare la nuova fiamma.
Agrippina è furibonda: suo figlio ha osato distruggere le trame che con tanta cura lei aveva tessuto? Lo minaccia quindi di rivelare le circostanza torbide della morte di Claudio.
Nerone, altrettanto inferocito, prende una decisione esiziale: sua madre deve morire! Il primo piano che escogita vuole far sembrare il decesso di lei un incidente: la invita a raggiungerlo via nave, durante la notte i marinai scappano con le scialuppe e cercano di affondare la barca. Ma Agrippina si sveglia in tempo, e a nuoto copre la distanza di circa 15 km che la separava dalla riva, rientrando nella sua casa di Bacoli fradicia, infreddolita, ma ben viva.
Avvisato della sua inopinata salvezza, Nerone le invia contro direttamente dei sicari pretoriani: vedendoli e capendo di non avere scampo, pare che Agrippina si sia denudata il ventre (da cui aveva generato il figlio) ordinando loro di colpirla proprio lì.
Il malcontento a corte serpeggia sempre di più, viste anche le continue ribellioni nelle regioni periferiche dell’impero (ribellione di Boudicca del 60, ribellione giudaica nel 66). Afranio Burro muore nel 62 in circostanze misteriose. Anche la vita familiare va a rotoli: Poppea muore nel 65, incinta; le malelingue bisbigliavano che fosse per colpa di un calcio di Nerone. Lui, vedovo, sposa quindi in terze nozze la splendida Statilia Messalina, con cui i rapporti sono però piuttosto freddi.
Ma cosa accade intanto a Roma? Nerone, deluso e amareggiato dalle vicende familiari e personali, comincia a maturare un progetto di riforma radicale dello Stato, in opposizione ai ceti dominanti: un insieme confuso di aspirazioni di tipo religioso, estetico e politico, volte a rovesciare l’ordine tradizionale per sottomettere lo Stato al volere del Princeps. La legittimazione di questa operazione consiste, per Nerone, nella sua stessa eccezionalità: si vedeva come un predestinato, come un artista della virtù in grado di gestire al meglio ogni potere.
Ovviamente il progetto è assolutamente inviso ai senatori e alle classi dirigenti; per timore che sobillino il popolo contro di lui, incita il nuovo prefetto del pretorio Tigellino a individuare prontamente chiunque parli contro l’imperatore. Tigellino ne approfitta per seminare Roma di spie, spesso semplici popolani pagati per riferire voci e discorsi colti in mezzo alla folla, o anche tra amici e parenti. La tensione a Roma si fa insostenibile: ogni accenno men che entusiastico a Nerone o al governo può causare esilio o condanna a morte per i senatori e i cavalieri.
Visto l’acuirsi del contrasto con il Senato, Nerone cerca l’appoggio del popolo e dell’esercito, tramite donazioni sempre più frequenti; ma la mancanza di nuove conquiste sta rallentando l’afflusso di beni preziosi nella capitale, e quindi la moneta sta subendo una sorta di inflazione.
Nel 64 un devastante incendio brucia buona parte dei quartieri centrali dell’Urbe. La pubblicistica antineroniana prima, e cristiana poi, addossa la colpa di questo disastro proprio a Nerone: l’imperatore, desideroso di costruire un grandioso palazzo, avrebbe scientemente appiccato il fuoco. Questa ricostruzione è stata dimostrata completamente faziosa: invece di gioire del cataclisma, Nerone si dà da fare in prima persona per soccorrere gli scampati, ospitandoli nei suoi giardini; decide di utilizzare le macerie delle case per bonificare le paludi di Ostia; ordina che le case di Roma siano costruite con materiali ignifughi, e che i futuri piani regolatori prevedano ampi porticati, strade più larghe e molti punti di rifornimento per l’acqua, in modo da evitare che il disastro si ripeta.
Il popolo, insomma, continua ad adorarlo.
Sempre più ostili gli sono invece i senatori: nel 65 Tigellino scopre una congiura, detta dei Pisoni, contro l’imperatore: tra i cospiratori si contavano alcune delle personalità più vicine a Nerone (Seneca, Lucano, Trasea Peto, Subrio Flavio). Nerone dà loro ordine di suicidarsi immediatamente (pratica comune, tramite la quale i condannati potevano evitare l’esproprio dei beni e l’esilio alla famiglia); Tacito ci tramanda le ultime parole con cui Subrio Flavio si sarebbe rivolto all’imperatore: “Ti odiavo. Nessun soldato ti fu più fedele di me, finché tu meritavi di essere amato: ho cominciato ad odiarti il giorno che tu sei apparso omicida della madre e della moglie, auriga, istrione, incendiario”. Insomma, Nerone viene accusato di aver tradito i tradizionali valori romani in nome di un potere assoluto, e forse di un progetto utopico di rifondazione. Probabilmente, il motivo per cui i senatori lo odiano è lo stesso per cui la plebe inneggia a lui.
Nel 66-67, durante un viaggio in Grecia, Nerone si appassiona alla cultura ellenistica e proclama la libertà della provincia. I Greci esultano, i Romani che abitavano in Grecia meno; molto meno ancora i sudditi delle altre province, scontenti per la disparità di trattamento. Anche al popolino romano la mossa non piace, perché teme di perdere una parte dei suoi privilegi.
Fioriscono così numerosissime ribellioni in Gallia e Spagna: Galba, nominato imperatore dai suoi legionari, corrompe Tigellino perché faccia fuori Nerone. Venuto a conoscenza del tradimento del suo uomo di fiducia, Nerone decide di togliersi la vita e ordina a uno schiavo di trafiggerlo con la sua spada. Pare che spirando abbia detto: “Qualis artifex pereo! (quale artista muore con me!)”, ma probabilmente questa è una diceria messa in giro per screditarlo.
Dopo la sua morte, si diffonde tra la plebe una curiosa credenza, quella denominata “Nero Redivivus”: il popolo lo adora tanto, da ritenere che non fosse morto, ma dormisse in una caverna, in attesa del momento giusto per risvegliarsi e riportare l’età dell’oro.
Poche sono le figure così controverse nella storia; e pochi hanno lasciato una maggiore impronta sulle tradizioni popolari: segno indubbio che Nerone aveva fascino da vendere! Del resto, il popolo l’ha sempre venerato, anche oltre la morte; perfino i senatori, al principio, ne avevano subito il sottile carisma, e avevano creduto alle sue assicurazioni. E proprio un uso distorto del suo carisma è quello che poi i senatori gli imputeranno: non si teme, del resto, che quello che può costituire un reale pericolo. Più che per gli eccidi, più che per i tradimenti, insomma, i ceti dirigenti mostrano di aver paura di lui per il potenziale cambiamento sociale di cui si faceva portavoce.
Nerone è senza dubbio affascinante: ma fu buono o malvagio? Credo che la risposta sarebbe cambiata drasticamente in base all’interlocutore: un senatore (ed erano loro a scrivere i libri di storia) avrebbe dichiarato Nerone il peggiore degli imperatori possibili; un semplice popolano (ma del loro pensiero non ci resta traccia) ne avrebbe avuta ben altra opinione!
Bibliografia / sitografia
https://it.wikipedia.org/wiki/Agrippina_minore
https://it.wikipedia.org/wiki/Claudio
https://it.wikipedia.org/wiki/Nerone
http://win.storiain.net/arret/num109/artic6.asp
Storia romana di Cassio Dione, libri LVII – LXII, Milano, Bur, 1999.
Vita dei Cesari. Nerone di Svetonio, Milano, Garzanti, collana “I grandi libri”, 2000 (1977).
Annali di Tacito, libro XV, Milano, Bur, 1951 ed edizioni successive.
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