Lupi travestiti da agnelli: i Borgia

 Lupi travestiti da agnelli: i Borgia
(Rodrigo, 1431-1503; Cesare, 1475-1507; Lucrezia, 1480-1519)



“Tutto questo sangue versato andrà in qualche modo deterso!”

Questa frase, alquanto particolare, venne detta da Cesare Borgia nella primissima missione che dà il via ad Assassin’s Creed Brotherhood.
Nonostante la cultura di massa abbia rafforzato la loro leggenda nera, ora ci dirigiamo a Roma dove incontriamo una famiglia alquanto peculiare: i Borgia.
Partiamo con il capofamiglia: Rodrigo Borgia alias Papa Alessandro VI, uno dei rivali dello stesso Savonarola.

 


Alessandro VI, nato con il nome secolare di Roderic Llançol de Borja italianizzato come Rodrigo Borgia, nacque a Xàtiva, un paesino del regno di Aragona, il 1° gennaio 1431.
Proveniente da una famiglia di nobili, Rodrigo si trasferì da giovane in Italia dove studiò retorica a Roma, e poi diritto al Collegio di Spagna di Bologna dove si laureò in diritto canonico il 13 agosto 1456.
Inizialmente, non aveva preso in considerazione la Chiesa come sua strada di vita, ma grazie ad un suo zio, la sua vita cambiò radicalmente: suo zio, il cardinale Alfonso de Borja, venne eletto al soglio pontificio con il nome di Callisto III.
Grazie alle conoscenze dello zio, la fortuna di Rodrigo crebbe a dismisura e a soli 25 anni, venne creato cardinale il 20 febbraio 1456 ottenendo anche, nel 1457, il titolo di vicecancelliere della Curia.
Il suo potere e la sua influenza non si fermavano, mietendo non solo vittime tra i cardinali ma anche tra le donne: si tramanda che fosse un uomo di bell’aspetto e affascinante, anche se noi possediamo i suoi ritratti da vecchio che attestano tutto fuorché una bellezza da Adone.
Infatti, in quegli anni, iniziò una relazione con la locandiera Vannozza Cattanei che divenne la sua amante ufficiale; benché fosse un cardinale e quindi vincolato al voto di castità, moltissimi cardinali dell’epoca vedevano nelle cariche papali soltanto il potere che ne derivava, quasi fosse un titolo signorile. E Rodrigo non faceva eccezione a questa regola.
Per non destare ulteriori sospetti, nel 1472 Rodrigo combinò il matrimonio di Vannozza con il signore di Arignano, Domenico Giannozzo; 3 anni più tardi, nacque il loro primo figlio Cesare. Innamorati pazzi, i due continuarono la loro storia clandestina anche quando Vannozza rimase vedova e nel 1476, nacque Giovanni futuro duca di Gandia. Nel 1479, a Subiaco, nacque Lucrezia e nel 1481 nacque l’ultimogenito della coppia, Goffredo o Jofré che si diceva fosse il preferito di Rodrigo.
Rodrigo, con questa progenie, intendeva controllare una grossa fetta della penisola italiana accrescendo la sua potenza e l’influenza della sua famiglia facendo in modo che lo stendardo del toro spagnolo fosse presente e potente.
Grazie alle lezioni impartitegli dallo zio, Rodrigo seppe come muoversi nell’intricato mondo della Chiesa, facendo breccia su Papa Innocenzo VIII Cybo che fece diventare papa, grazie anche ai voti comprati di diversi cardinali, tra i quali spiccò anche il suo eterno rivale: Giuliano della Rovere, il futuro papa Giulio II.
Quando papa Innocenzo VIII morì, tutti i cardinali vennero chiamati al conclave per eleggere il nuovo pontefice: alla fine, Rodrigo venne eletto con il nome di Alessandro VI il 26 agosto 1492.
Inizialmente, la scelta di Borgia non convinceva il consiglio cardinalizio ma quando Rodrigo si dimostrò molto ortodosso su diverse politiche da intraprendere, per molti, fu visto come la scelta migliore: tra le tante manovre attuate dal pontefice, ci fu anche quella del Trattato di Tordesillas del 1494 in cui la Spagna e il Portogallo si spartirono i territori del Nuovo Mondo.
Un altro fatto importante fu il rafforzamento degli editti cristiani in Spagna contro i marranos, i cristiani convertiti, e le streghe dando vita ad un vero e proprio inferno per loro.
Ciò per cui fu molto famoso non fu soltanto il mantenere dei buoni rapporti con i monarchi cristiani come Luigi XII di Francia,  ma fu la sua politica familiare: il nepotismo era praticato da secoli anche dai suoi predecessori, ma con il Borgia divenne ancora più evidente. Se Giovanni e Jofré morirono presto a causa dei dissapori tra fratelli, Lucrezia e Cesare divennero le pedine principali nello scacchiere papale.
Alla sua morte avvenuta il 18 agosto del 1503 ufficialmente per un colpo apoplettico, Rodrigo lasciò lo Stato della Chiesa in condizioni pietose, però pose le basi per un suo rinnovamento che divenne tale con il suo successore, Giulio II della Rovere.




Cesare Borgia.
Il solo nome basta ad evocare la figura di un Adone ma con le fattezze di un Ares; un generale astuto e brillante ma che i suoi piani erano troppo ambiziosi per lui.
Cesare nacque a Subiaco il 13 settembre 1475, secondogenito di Rodrigo Borgia e primogenito di Vannozza Cattanei.
Sin dalla sua nascita, Rodrigo aveva pensato ad una carriera ecclesiastica per il figlio anche se lui preferiva le armi. Nel 1489, Cesare andò a Perugia a studiare, per poi passare nel 1491 a Pisa dove studiò giurisprudenza assieme al figlio di Lorenzo il Magnifico, Giovanni che sarà papa con il nome di Leone X.
Papa Innocenzo VIII creò il giovane Borgia vescovo di Pamplona il 12 settembre 1491, nonostante non avesse mai preso i voti sacerdotali e, alla notizia che il padre era diventato papa nel 1492, Cesare si recò a Roma dove il padre lo creò cardinale a soli 21 anni il 20 settembre 1493 divenendo anche legato e governatore di Orvieto.
Tutti questi atti fatti dal Borgia era per intascarsi le rendite che i vari vescovadi davano al papato ed arricchire le casse della loro famiglia.
Si racconta di un aneddoto particolare: durante la campagna di Carlo VIII, ci fu uno scambio di prigionieri e Cesare venne preso in ostaggio affinché Rodrigo salvasse la sua amante, la giovane Giulia. Così, scambiatosi i vestiti con una guardia, Cesare scappò dal campo francese ritornando a casa.
Poco dopo la morte del fratello Giovanni, Cesare ottenne la deposizione della porpora cardinalizia nel 1498 e diventando generale delle truppe papali.
Bello, colto ed intelligente, il suo acume non passò inosservato, conquistando le menti di moltissimi che lo conobbero come Leonardo da Vinci che soggiornò a Roma un anno e il legato della Repubblica Fiorentina, Niccolò Machiavelli. Fu Machiavelli ad accorgersi del suo genio militare e scrisse il piccolo pamphlet “Il Principe”; molti studiosi hanno pensato che Machiavelli celebrasse la figura di Borgia come un modello da seguire, ma in realtà mostrava chiaramente delle qualità che un principe degno di cotanto nome, non dovesse seguire, nonostante apprezzasse la sua mente brillante.
Dopo il matrimonio contratto con la nipote del re, Charlotte d’Albret, avvenuto il 12 maggio 1499, venne nominato dal re “Duca di Valentinois” e da lì, nacque il suo soprannome più famoso “Il Valentino”.
Cesare aveva un piano, alquanto ambizioso per l’epoca: unire gli Stati Italiani sotto un’unica egida.
Così, nel 1499 intraprese una feroce campagna di conquista che ufficialmente era per sopperire alla sete di conquista del Valentino, ma in realtà era una campagna per riconquistare i territori umbro-marchigiani che costituivano oggetto di contesa da anni, dopo il papato di Sisto IV Riario.
Con la morte di Guidobaldo da Montefeltro e del padre Federico, Urbino e Camerino vennero prese, mentre Imola, Faenza, Forlì e Rimini furono le più dure da prendere perché al comando delle truppe c’era la Leonessa di Forlì, la duchessa Caterina Sforza. Dopo mesi di lotta, Forlì cadde e Caterina dovette riparare a Firenze, dopo una breve prigionia; altri stati come Cesena, Napoli e Pesaro caddero mentre i francesi asserragliarono Milano. Era inarrestabile e, nonostante il tentativo di congiura del capitano di ventura Vitellozzo Vitelli e Oliverotto da Fermo che vennero strangolati dal luogotenente di Cesare Micheletto Corella, Cesare sembrò invincibile.
Fu quando morì Papa Alessandro che le cose cambiarono: dopo l’elezione di Giulio II, il pontefice fece arrestare Cesare che scappò in Spagna mettendosi al servizio del Rey Catolico Ferdinando II dove poté usare la sua brutalità.
Nonostante gli spagnoli non l’amassero, Cesare aveva contratto il mal francese o la sifilide e morì il 12 marzo 1507 nel campo di battaglia di Viana, cadendo in un’imboscata.
Nessuno riconobbe il Valentino e, toltigli i vestiti e l’armatura, venne trafitto con 23 picche e poi sepolto nella chiesa di Santa Maria di Viana, anche se l’Inquisizione ne dispose l’esumazione e il calpestio pubblico in terra sconsacrata. Soltanto nel 1953, i resti saranno ricollocati nella Chiesa spagnola.
Diversa sorte fu quella di Lucrezia, la sorella.




Una donna tanto bella, quanto letale.
O almeno così la storia ci ha sempre descritto Lucrezia Borgia, quintogenita di Papa Alessandro VI.
Lucrezia Borgia nacque a Subiaco il 18 aprile 1480, unica femmina di Vannozza Cattanei e di Rodrigo Borgia. Da subito, si capì che non era una donna come le altre.
Aveva una bellezza molto conturbante che fece girare la testa non solo a potenti aristocratici ma anche ad intellettuali come Pietro Bembo di cui fu amante; una sua particolarità erano i suoi capelli dorati, di cui ne viene conservata una ciocca di capelli che donò a Bembo, ora presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano.
Se spesso, in pubblico, Lucrezia si dimostrava compassionevole e gentile, venendo elogiata da tutti, in privato era alquanto vendicativa: come il padre e i fratelli, Lucrezia era capace di creare il famoso “veleno dei Borgia” ossia la cantarella, pratica comune a quei tempi.
I cronisti ci raccontano anche dei suoi costumi lascivi: per via delle sue origini valenciane, Lucrezia si legò intimamente a Cesare anche nel senso fisico del termine. Così, la giovane divenne una delle armi più potenti nell’arsenale del padre, come spesso accadeva nelle corti italiane.
Dopo aver appreso la poesia, le lingue straniere come il francese e lo spagnolo, la musica e le pratiche religiose al convento di San Sisto, Lucrezia venne promessa dapprima a nobili spagnoli ma poi quando Rodrigo divenne papa, le cose cambiarono: il primo matrimonio di Lucrezia avvenuto il 2 febbraio 1493 con il conte di Pesaro, Giovanni Sforza, non portò all’immediata consumazione dello stesso perché Lucrezia aveva soltanto 12 anni all’epoca.
A Pesaro, Lucrezia visse una vita come si confà ad una giovane nobile come lei, divenendo amica personale di Sancha d’Aragona, moglie del fratello Jofré; il 18 novembre 1497 vennero annullate le nozze di Lucrezia con Giovanni perché Sforza venne dichiarato impotente e quindi non in grado di adempiere ai doveri coniugali. In realtà, iniziò a circolare la voce che il papa giacesse, a livello molto intimo, con la figlia, una convinzione rafforzata anche dalla cultura di massa.
Nonostante fosse vendicativa contro chi le faceva del male, Lucrezia non smise mai di amare e il 14 febbraio 1498 venne rinvenuto cadavere un paggio del papa, tale Perotto Calderòn, con il quale Lucrezia aveva avuto un figlio Giovanni Borgia o “L’infans romanus”.
Successivamente, fu stabilito che Lucrezia sposasse Alfonso d’Aragona, il fratello dell’amica Sancha, affinché potesse aiutare la causa dei Borgia nel prendere il regno di Napoli sotto l’egida papale; le nozze avvennero il 21 luglio 1498 e i due s’innamorarono follemente, dato che Alfonso era molto bello. I due tennero una vivace corte a Bisceglie, dove Alfonso era duca, e nel 1499 la coppia venne benedetta da un figlio di nome Rodrigo.
Sebbene Lucrezia si dimostrò un’abile governatrice, amata e venerata da tutti, nel privato la sua reputazione si tinse di nero: la costante accusa d’incesto con il padre e i fratelli la resero un facile bersaglio tanto da avere la nomea di “cortigiana di Roma”. Si raccontava, pure, che un giorno mentre il papa era assente, egli nominò “papessa” la figlia in sua assenza, ma chiaramente questa era solo una diceria.
Morto tragicamente Alfonso strangolato per mano di Micheletto su ordine di Cesare, Lucrezia perse la ragione non volendo più avere nulla a che fare con la famiglia, quasi arrivando ad uccidere Cesare.
Il periodo a Roma con i piccoli Rodrigo e Giovanni non fu così roseo come molti pensarono: anzi, lei osò dire che era stata maledetta e spesso, avvelenava, quasi per ripicca, gli alleati del padre.
Alla fine, il 26 agosto 1501 Lucrezia si sposò per la terza volta, lasciando per sempre Roma con i figli e dirigendosi alla volta di Ferrara, dove il marito, il duca Alfonso II d’Este la stava aspettando.
Sebbene gli Este l’amassero così come i ferraresi, Lucrezia ebbe una rivale nella cognata Isabella, duchessa di Mantova, e le due fecero a gara a chi avesse la corte più bella: Ferrara, sotto di lei, divenne una delle più celebrate corti avendo tantissimi intellettuali di diverse fedi religiose come Pietro Bembo.
La morte del padre, nel 1503, non la fece stare male, ma rese problematici i rapporti con il suocero Ercole, all’epoca duca di Ferrara: infatti, si vociferava che abusasse di lei e lei per difendersi, usò anche una spada.
Nel 1505, morto il suocero, Alfonso divenne duca di Ferrara e Lucrezia divenne una delle duchesse più amate dalla popolazione; si racconta che, per difendere l’onore di una donna di fede ebraica, avesse ammazzato con le sue stesse mani il marito e i suoi parenti perché non le avevano dato una mano.
Dal matrimonio con Alfonso, ebbe sette figli: Alessandro morto ad un mese, Ercole II futuro duca di Ferrara, Ippolito II che fu cardinale, Alessandrino morto a due anni, Eleonora, Francesco ed Isabella Maria.
Quando morì il figlio Rodrigo, Lucrezia cadde in una profonda disperazione tanto da trovare rifugio nella religione, cominciando a patrocinare vari conventi a Ferrara, portando addirittura il cilicio per espiare le sue colpe.
Poco dopo la nascita dell’ultimogenita, Isabella Maria, Lucrezia si ammalò gravemente e morì il 24 giugno 1519 a 39 anni, lasciando Ferrara e il marito in una profonda disperazione, venendo sepolta nel Convento del Corpus Domini con indosso il saio francescano.


Bibliografia

Bellonci M., Lucrezia Borgia, Milano, Mondadori, 2011;
Gervaso R., I Borgia, Milano, Rizzoli, 1977;
Machiavelli N., Il principe, Milano, Mondadori, 2019.
Sacerdote G., Cesare Borgia. La sua vita, la sua famiglia, i suoi tempi, Milano, Rizzoli, 1950.





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