Il male nella storia: I predicatori - Girolamo Savonarola


Il male nella storia e nella religione


Nel mondo storico e religioso, il male è sempre stato un elemento presente nelle diverse narrazioni, ma spesso è stata l’arma di moltissime personalità che, grazie al loro ascendente, hanno ritagliato e plasmato la società in cui vivevano.

Ma, nonostante le promesse e questo loro fascino, ciò che hanno fatto ha creato attorno a loro una leggenda nera che permane ancora oggi.

Come abbiamo visto nell’introduzione, spesso, esisteva una sottile linea tra il bene e il male e il duplice potere dato dalla Chiesa e dagli imperi ne ha approfittato.

Molto spesso lo faceva per dividere le popolazioni per controllarle meglio e, nel contempo, inculcare valori e superstizioni che divennero parte del loro essere.

Conosciamoli meglio!



Parola del male. I predicatori

“Date e vi sarà dato. Perché come il prossimo, così sarete trattati.”

Questa frase, nonostante provenga dal videogioco Assassin’s Creed Brotherhood, ci mostra quanto questo personaggio sia stato fondamentale nell’età medievale e rinascimentale: il predicatore.
Chi era costui?
Era un uomo, generalmente di Chiesa o appartenente ad un ordine religioso, che diffondeva la parola di Dio ai ceti meno abbienti; spesso, molti di loro finivano a fare i priori nelle principali diocesi dell’epoca come Firenze o Ferrara e altri lavoravano in piccole comunità divenendo temuti e rispettati.
E’ qua che il male e l’ignoranza si fondono in un’arma micidiale che ha portato alla morte tantissime persone, venendo affascinati dalle parole di questi millantatori di fede.
Il primo di loro ci porta nella Firenze del 1492, dove tutto bruciò senza pietà.


Il falò delle vanità: Girolamo Savonarola (1452-1498)



Firenze, 1492.
Lorenzo de’ Medici è morto; la signoria medicea è in un forte caos a causa della successione di Piero il Fatuo e Carlo VIII di Valois sta calando in Italia, volendo reclamare ciò che gli spetta.
Solo un uomo si erse, ma invece che affrontare la minaccia, fece cadere la città in un vero inferno dantesco.. Il suo nome?
Girolamo Savonarola, priore del convento di San Marco a Firenze.

Savonarola nacque con il nome secolare di Girolamo Maria Francesco Matteo a Ferrara il 21 settembre 1452. La sua famiglia era originaria di Padova, con la madre Elena Bonacolsi che era discendente del casato nobiliare mantovano dei Bonacolsi, un tempo signori della città.

Sin da piccolo, Savonarola subì l’influenza del nonno Michele dal quale ereditò la particolare predisposizione alla fede religiosa: infatti, Michele era molto devoto, nonché fu un cultore della Bibbia. Nonostante fosse cortigiano della famiglia dei d’Este che poi divennero signori di Ferrara, Michele predicava una vita assai austera, lontana dai fasti e dalle vanità della corte a cui apparteneva, essendo archiatra del marchese Niccolò III d’Este.
Un insegnamento che Savonarola riportò anni dopo, quando fu a Firenze.
Dopo aver appreso la grammatica e la musica dal nonno a cui si affezionò tanto, il padre volle che diventasse un medico facendogli studiare le arti liberali come la filosofia, appassionandosi a Platone per poi passare ad Aristotele e al tomismo di San Tommaso d’Aquino.

A 18 anni, abbandona lo studio medico per dedicarsi alla teologia, anche se inizialmente aveva accarezzato l’idea di diventare cavaliere.
Oltre a dilettarsi a studiare la teologia, si dilettava anche nella poesia. In una sua canzone del 1472 intitolata “De ruina mundi” scrisse: “La terra è sì oppressa da ogne vizio/ Che mai da sé non levarà la soma:/A terra se ne va il suo capo, Roma,/Per mai più non tornar al grande offizio” 
Da questa poesia, notiamo che Savonarola aveva già una sua idea del mondo che lo circondava: era un mondo lascivo, incline al peccato. Serviva un salvatore e chi meglio di lui?
Così, il 24 aprile 1475 lasciò Ferrara per prendere i voti come frate domenicano presso la Chiesa di San Domenico a Bologna, dove l’ordine risiede ancora oggi; la sua fu una rapida ascesa: grazie alla sua intelligenza, divenne diacono nel 1477 e approfondì lo studio teologico dove divenne cultore della materia. Un dato fondamentale è che, spesso, fu un autodidatta: infatti, imparò anche la lingua ebraica che gli servì per convertire un imponente schiera di intellettuali e persone di fede ebraica sia quando stava a Ferrara sia quando visse a Firenze.

La sua carriera ebbe una svolta quando, il 28 aprile 1482, venne nominato lettore del Convento di San Marco a Firenze.
All’epoca, Savonarola era diventato noto anche per un peculiare fatto: iniziò ad avere delle visioni mistiche. O almeno, così raccontava il frate ai suoi confratelli domenicani.
Tra di loro, c’era chi pensava che Savonarola fosse un profeta mentre altri pensarono che fosse un pazzo.. E chi la pensava in questo modo, non entrava nelle grazie di Girolamo.

Dall’animo freddo, risolutore e incline al pentimento anche per via corporale, Girolamo si guadagnò ben presto una certa fama tra i suoi confratelli; molti lo rispettavano come il pittore Beato Angelico mentre altri stavano alla larga da lui.
Sebbene, per molti era un tipo molto particolare, nel 1482 gli fu dato il compito di predicatore e di tenere le lezioni sulle Scritture al Convento di San Marco.
Nonostante molti non si fidavano di quel prete ferrarese che predicava sul pulpito della chiesa di San Lorenzo, diversi nobili fiorentini e anche intellettuali rimasero affascinati dall’acume e dall’intelligenza di Savonarola: uno di loro fu Pico della Mirandola con il quale intrattenne uno stretto rapporto d’amicizia che sfociò anche a livello intellettuale.

Durante un breve periodo di meditazione presso la Chiesa di San Giorgio alla Costa, nell’odierna San Frediano, ebbe un’illuminazione, quasi una visione profetica: la Chiesa andava rinnovata radicalmente.

Fu a San Gimignano che iniziò a predicare le sue famose orazioni profetiche: nel 1485 parlò che la Chiesa “aveva a esser flagellata, rinnovata e presto”. L’anno seguente ritornò alla carica, con un’altra orazione nella quale elencava i motivi per la venuta di un Anticristo come i sette peccati capitali e omicidi.

La sua fama di predicatore crebbe talmente tanto che lo stesso Pico chiese ed ottenne da parte di Lorenzo il Magnifico de’ Medici, signore di Firenze, che Savonarola tornasse a Firenze nel giugno 1490. Le cronache raccontano di uno strano sconosciuto che salutò il frate dicendogli queste parole “Fa’ che tu facci quello per che tu sei mandato da Dio in Firenze.” 
Fu quasi una profezia di quello che avrebbe fatto di lì a poco.
Le sue parole divennero come fiamme che ribollivano le anime dei fedeli, mentre i Medici e i loro sostenitori, i palleschi, lo chiamarono “il predicatore dei disperati”. Le sue prediche e invettive avevano l’intento di mostrare la fallacia del sistema dei Medici e di come Firenze era diventata una Babilonia governata dalla lascivia e dal peccato.

E’ nota la predica che fece il 16 febbraio 1491 sul pulpito di Santa Maria del Fiore che si racconta che infiammò gli animi, e la folla arrivò ad osannarlo per le sue parole; un’altra predica, meno nota, la fece a Palazzo Vecchio. Lì, affermò che “una città si corrompe se i suoi capi sono corrotti moralmente, falsificando la moneta e rubando ai poveri”.
Questo venne percepito come un attacco diretto alla signoria medicea e Lorenzo si arrabbiò: già aveva perso il fratello Giuliano nel 1478 e quel frate gli stava procurando grossi grattacapi. Diverse volte l’aveva ammonito come quando, il 27 aprile 1491, fece una terribile predicazione che fece tremare il cuore di tutti, incluso del giovane Michelangelo Buonarroti che ebbe paura dell’uomo, anche a distanza di anni; di tutta risposta, Savonarola disse in un’invettiva al Magnifico “Io sono forestiero e lui cittadino e il primo della città; io ho a stare e lui se n’ha a andare: io a stare e non lui.”

Inizialmente, nessuno credette a questa profezia in cui letteralmente Savonarola augurava la morte a Lorenzo, ma il 5 aprile 1492 accadde un qualcosa d’inquietante: un fulmine colpì la lanterna che stava sulla sommità della Cupola di Santa Maria del Fiore. Dalla forza emanata, la palla dorata cadde, creando un buco al suolo; ciò fu visto dai fiorentini come un segno nefasto e, tre giorni dopo, l’8 aprile 1492 Lorenzo il Magnifico morì, con Savonarola che gli diede i sacramenti.
Morto Lorenzo, si aprì un vuoto di potere che il figlio primogenito Piero detto “il Fatuo” cercò di colmare, e Savonarola ne volle approfittare.
Infatti, iniziò a raccogliere sotto di sé una schiera di seguaci che, soggiogati dalle sue promesse di un ritorno ad una Chiesa pura e semplice, senza vanità e lascività, si fecero chiamare “piagnoni”. In molti, iniziarono, anche con la violenza, a prendere ogni cosa che ricordasse la Firenze medicea dandogli poi fuoco: nacquero così i “Falò delle Vanità”, atti a purificare l’anima da peccatrice di Firenze.
Addirittura, lo stesso Botticelli dovette bruciare alcuni dei suoi quadri fatti per i Medici, pena la morte; ma Savonarola voleva di più: la sua anima nera nel 1494 era al capezzale dell’amico Giovanni Pico della Mirandola che sarebbe morto di lì a poco, facendo in tempo a vedere anche il giovane re Carlo VIII di Francia a Poggibonsi. Fu Savonarola stesso ad accordarsi con il re affinché Firenze rimanesse illesa e senza la guida dei Medici, costretti all’esilio.
Pico aveva accusato una forte febbre e, secoli dopo, si scoprì che era stato avvelenato morendo a pochi giorni di distanza da Angelo Poliziano, poeta di corte dei Medici.
Questo rafforza la tesi che sia stato lo stesso Savonarola a ordire la morte dell’ex amico, con il quale aveva rotto i rapporti a causa di un’opera sugli Atti degli Apostoli che non aveva convinto Pico per le sue trattazioni alquanto ortodosse.

Firenze era diventata una polveriera con i piagnoni che spargevano la parola di Savonarola il quale non risparmiò invettive anche contro i potenti come il neo-eletto papa Alessandro VI Borgia: nonostante il papa apprezzasse i suoi studi teologici, Savonarola non gradiva le attenzioni del pontefice vedendolo quasi come un Anticristo.
Così, si scatenò una lotta tra i due che culminò con la scomunica di Savonarola il 12 maggio 1497 e una quasi sollevazione da parte degli Arrabbiati, la falange armata dei Piagnoni; così il 7 febbraio 1497 Savonarola organizzò un massiccio “Falò delle Vanità”, durante il quale tantissimi oggetti come gioielli e dipinti vennero dati alle fiamme.

Nonostante Savonarola avesse giocato un ruolo nella creazione della Seconda Repubblica Fiorentina che mise a capo come gonfaloniere Pier Soderini, lentamente iniziò a perdere i suoi alleati venendo prima arrestato nel 1498 con l’accusa di eresia.
Condannato a morte dal tribunale della Repubblica, Savonarola venne portato sul patibolo il 23 maggio 1498 assieme a due confratelli, Don Domenico e Don Silvestro, e lì venne impiccato. Il suo corpo fu poi bruciato e le ceneri sparse in Arno; si racconta però che, mentre raccoglievano le ceneri, trovarono un dito bruciacchiato e un collare che aveva sorretto il suo corpo emaciato dalla tortura. Nei giorni successivi, moltissimi fiorentini ricoprirono di fiori e di palme il greto in cui si trovavano le sue ceneri, come se avessero martirizzato un santo.
Secoli dopo, Savonarola viene considerato dalla Chiesa come “Servo di Dio” in quanto si ritiene sia sempre stato in odore di santità.


Bibliografia

Centi S. T., Girolamo Savonarola: il frate che sconvolse Firenze, Roma, Ed. Città Nuova, 1993.

Young W. G., I Medici, Milano, Salani, 2016

Weinstein D., Savonarola e Firenze. Profezie e patriottismo nel Rinascimento, Bologna, Il Mulino, 1976.



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