Il fascino del male - Introduzione storica

 La sottile linea tra bene e male

                                    


Gerusalemme, 1960.

Tutta Israele è in fermento perché uno degli artefici della tentata distruzione del popolo ebraico sarebbe stato processato per i suoi crimini contro l’umanità: Adolf Eichmann.

Ad assistere a questo processo, c’è, tra i giornalisti, la filosofa statunitense di fede ebraica Hannah Arendt.

Questo processo la colpì talmente tanto che, tornata a New York, scrisse il libro “La banalità del male”, pubblicato nel 1963.

Un altro scrittore, questa volta italiano, il chimico Primo Levi raccontò nel suo libro “Se questo è un uomo”(1947), la sua esperienza traumatica nei campi di concentramento, dopo il suo internamento ad Auschwitz il 22 febbraio 1944.

Cos’hanno in comune questi due intellettuali?

Hanno entrambi incontrato il male.

Nelle loro storie, Levi e Arendt hanno indagato in maniera analitica e critica il rapporto che esisteva con il male e, come, una persona normale possa esserne attratta.

Nel caso del processo Eichmann, ciò che colpì la Arendt fu la “nullità” di quel gerarca nazista che, strappato dalla sua uniforme di SS-Obersturmbannfuhrer, ritornava ad essere un semplice operaio di un impresa edile. Un completo Signor Nessuno.

Invece, Levi descrisse minuziosamente le efferate brutalità di cui si resero protagonisti, durante la sua prigionia ad Auschwitz, i kapò.

I kapò erano prigionieri loro stessi, riconoscibili dal triangolo verde dato che, spesso, erano criminali, ai quali le guardie del campo avevano dato una mazza facendo in modo da rispettare l’ordine nelle baracche e per evitare rivolte. Ma, spesso, diventavano complici dei crimini di cui si macchiò tutta la macchina nazista.

Come mai le persone “normali” sono attratte dal male?

Ad oggi, non esiste una chiara motivazione, ma in questo caso, Madame Storia ci viene in aiuto.

Nei secoli, si è assistito ad una crescente ricerca sul perché veniamo attratti dal male.

Spesso, molte persone facevano del male, credendo di fare del bene o, in molti casi, per mantenere una parvenza di status che era stata costruita: basti pensare a quanto Hitler fece leva sull’orgoglio nazionale, quando dovette invadere la Francia, e prima ancora la regione ceca dei Sudeti.

In Eichmann, ciò che lo mosse a commettere quei crimini era la creazione di un maggiore benessere anche famigliare che lo portò a diventare parte della cerchia ristretta di Hitler, usando il suo ascendente lavorativo da burocratico e la sua influenza.

Per i kapò, molte volte, ciò che prevaleva era un sentimento nazionalista che portava a galla vecchie ruggini tra i prigionieri; un sistema creato ad arte, basato sul concetto del “divide et impera” ossia dividi e conquista.

Ma cosa vuol dire però “fare del bene”, all’interno del contesto storico?

Il male e il bene sono due concetti molto bordeline che, spesso, si uniscono, creando un unicità molto potente, entro la quale non si riesce a distinguere.

Ad esempio, se un insegnante rimprovera uno studente che ha dei problemi evidenziandogli a tutta la classe, nella sua mente penserà che “sta facendo del bene a quel ragazzo perché problematico”, ma in realtà ciò che fa è mettere in evidenza la sua diversità, quasi volendo dire alla classe: “Egli è un problema, non c’è posto per uno come lui nella nostra normalità” e attua un ciclo vizioso che porterà quel ragazzo diverso dagli altri ad una perdita della sua autostima e all’esclusione sociale.

Il bene non è un concetto che si lega alla sfera spirituale, tipico di una moralità e di un’educazione religiosa che, spesso, sfocia nel fanatismo o nell’ortodossia, ma è anche ciò che è buono per la società. Ciò che è accettato ed approvato.

E’ un classificarsi ed un incasellarsi all’interno di una determinata categoria, affinché si sia accettati dalla società. Qualunque altra cosa che fuoriesca dai canoni, sia a livello fisico sia a livello mentale, è considerata come maligna: basti pensare alle streghe e allo stigma attorno alle persone aventi i capelli rossi, come evidenziò Giovanni Verga nel libro “Rosso Malpelo”, mostrando l’esclusione sociale di un giovane carbonaio che morì dentro le miniere.

Ancora oggi, attuiamo questo tipo di stigma sociale nei confronti di chi è diverso, nonostante la società odierna predica “maggiore diversità”. Ciò comporta una perdita enorme, non solo dal punto di vista umano ma anche dal punto di vista sociale, incapace di vedere realmente quelle persone per come sono. Delle bellissime farfalle che tanto hanno da dare.

Il male, nei secoli, ha rappresentato un qualcosa di aberrante dal quale era necessario rifuggire: questa sensazione è un portato delle religioni costituitesi nei secoli.

Ad esempio, nella religione egizia, il male commesso, anche in maniera molto grave, era punito con la damnatio memoriae ossia la condanna all’oblio e alla perdita del nome che, per gli Egizi, era il massimo disonore esistente.

Più avanti nei secoli, si è iniziato ad esplorare il male come mezzo di esplorazione dello stesso, trovando anche dei sistemi per combatterlo.

E qua la religione trovò terreno fertile per inculcare una “paura della dannazione eterna” e, coloro che non rispettavano questo canone, erano visti come “senz’anima” o “Dio li aveva abbandonati”.

Ma è nel Rinascimento che s’iniziò ad esplorare quest’attrazione per il male, cercando di fare del bene contemporaneamente: nasce, quindi, lo studio della farmacopedia e dei veleni ma anche dell’alchimia e delle “arti magiche”, di cui le streghe furono le portatrici di questi antichi segreti.

Nel contempo, la religione e il potere si servirono del male per “fare del bene” alla società, nonostante molti di loro conoscevano queste arti maligne; questa dicotomia sarà spesso presente, soprattutto dal Rinascimento fino alla Rivoluzione Industriale.

Molte persone, sia potenti sia semplici braccianti, trovarono un fascino nel male perché, oltre a fare del bene anche per un loro tornaconto personale, li portava ad avere un potere che mai si sarebbero sognati di avere: e, spesso, questa combinazione è risultata fatale, portando intere famiglie e dinastie a perire.

A volte, però, il male veniva commesso per pura sopravvivenza: questo è il caso della divisione degli schiavi africani che i proprietari della piantagione facevano per dividerli, tra schiavi domestici e i raccoglitori di cotone, causando dissapori tra di loro. Infatti, quando accadeva un problema, molti schiavi davano la colpa ad altri, soltanto per salvarsi da un triste destino.

Il male affascina anche la persona più umile, spesso per cercare di trarre vantaggio o di far valere la mancanza di un valore essenziale come uno status elevato o una maggiore valenza dei propri diritti, anche se questo causava del male a molti. Tra i tanti casi, segnaliamo i delatori nell’età rinascimentale che portarono, nelle campagne, alla morte di decine di migliaia di persone in “odore di eresia” come il mugnaio friulano Menocchio. In età contemporanea, Levi c’introdusse sia ai delatori che, per qualche spicciolo, facevano i nomi ai nazisti per rastrellarli ma anche alle cosiddette “persone grigie”: persone che sapevano cosa accadeva ma che hanno taciuto, di fronte ad efferati crimini, diventando complici a loro volta.

Il caso dei delatori è alquanto particolare perché oscilla tra l’istinto di sopravvivenza e il semplice voler fare del male per un “bene superiore”: maggiore considerazione e un miglior status socio-economico ma anche salvarsi la pelle, per evitare la fine dei loro vicini.

Questo concetto del “bene superiore” venne usato tantissimo da parte della Chiesa, sin dalla sua fondazione, così come, in età contemporanea, da parte di sette e di gruppi politici, al fine da mascherare questa loro “involontaria” fascinazione al male usando valori alti che dicevano di insegnare affinché facessero leva sui cuori e le menti dei loro fedeli.

Ripulire il mondo dagli infedeli. Estirpare i selvaggi e renderli beneducati, affinché Dio salvasse la loro anima.

Questi erano alcuni dei valori che, nei secoli, hanno dato vita a guerre sanguinolente come le Crociate o al permettere la distruzione di civiltà già esistenti come i Nativi Americani nelle colonie o gli Indios.

Ciò ha portato a morte migliaia di persone, non solo di civiltà pre esistenti, ma anche altre che, bollati come “reietti” o “inadatti” o “eretici” dalla società, soltanto perché erano differenti da come dovevano comportarsi, secondo i dettami dell’epoca.

Nell’età medievale e rinascimentale, si fece largo uso dei predicatori affinché convertissero tutte le anime smarrite, spesso dimenticandosi di una loro morale.

Questo è il caso della caccia alle streghe che portò alla morte di migliaia di donne, non conformate alle regole della società e quindi le loro morti erano giustificate come “aver rimandato il demone all’inferno da cui proviene”.

Infatti, questa dicotomia del bene e del male che, spesso, si uniscono caratterizza questa “discesa agli inferi” che, anche gli intellettuali come Dante, cercando di esorcizzarla, ma spesso ne rimaniamo affascinati perché non sappiamo cosa ci aspetta in quell’abisso.

A volte può ricordarci la fallacia degli esseri umani e la loro mancata infallibilità, così come le loro imperfezioni, “nati per commettere errori” così come viene cantata dagli Human League.

A volte, però, può tentarci lasciando che possa fuoriuscire la nostra vera parte di noi, il nostro “lato oscuro” buono che viene per aiutarci quando tocchiamo il fondo.

Ma a volte, se lasciamo uscire l’oscurità che alberga in ognuno di noi, possiamo diventare i creatori di incubi senza fine.


“I mostri sono reali e anche i fantasmi lo sono. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono” (Stephen King)





Bibliografia


Alighieri D., Commedia, Firenze, Leo S. Olschki, 2011.

Arendt H., La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli, 1964.

La condizione dello schiavo:autobiografie degli schiavi neri degli Stati Uniti, (a cura di) Armellin B., Torino, Einaudi, 1975.

Bethencourt F., Razzismi: dalle crociate al XX secolo, Bologna, Il Mulino, 2017.

Ginzburg C., Il formaggio e i vermi: il cosmo di un mugnaio del ‘500, Torino, Einaudi, 1976.

Id., I benandanti: stregoneria e culti agrari tra ‘500 e ‘600, Milano, Adelphi, 2020.

Levi P., Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2005.

Prosperi A., Dare l’anima: storia di un infanticidio, Torino, Einaudi, 2005.

La stregoneria in Europa(1450-1650), (a cura di) Romanello M., Bologna, Il Mulino Editore, 1975.

Verga G., Rosso Malpelo, in “Le opere di Giovanni Verga”, Milano, Mondadori, 1939.


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