Il concetto di male dal punto di vista filosofico







All’apparenza la domanda “cos’è il male” dovrebbe avere una risposta semplice e univoca in quanto il “male” è tutto ciò che noi consideriamo opposto al concetto di bene. A questo punto anche rispondere alla domanda “perché il male affascina” dovrebbe avere una risposta semplice, anche se molto più articolata perché richiede un’analisi del nostro io. Perché ci affascina? Semplicemente perché è tutto ciò che riguarda le nostre spinte più profonde, è ciò che non riusciamo ad essere e con quell’innata libertà istintiva, ci affascina e ci ammalia.

Andiamo per ordine.

Socrate (1) partiva da un concetto fondamentale secondo il quale nessuno compie del male volontariamente e la virtù è conoscenza. “C’è un solo bene: il sapere. E un solo male: l’ignoranza.” Vien da sé che, secondo il filosofo, l’uomo avrebbe raggiunto la felicità solo perseguendo il bene e, quest’ultimo, poteva essere fatto solo attraverso l’apprendimento e la saggezza. Di conseguenza il male veniva fatto in modo involontario e per ignoranza. Socrate, inoltre, ragionava per opposti, bianco o nero, buono o cattivo e considerando la libertà di scelta degli uomini come punti di vista differenti dettati da una conoscenza disuguale. Se si sceglie una strada negativa è perché si ritiene che quella strada segua il bene, ma è solo una valutazione errata dettata da conoscenze imprecise e/o mancanti. 

Platone riprende gli insegnamenti di Socrate e ritiene l’uomo responsabile delle proprie scelte (2) così come racconta nel Mito di Er (3), mentre il male che viene compiuto sulla terra a seguito di queste scelte lo reputa necessario e involontario e non responsabile. 

Perché malvagio nessuno è di sua volontà, ma il malvagio diviene malvagio per qualche prava disposizione del corpo e per un allevamento senza educazione, e queste cose sono odiose a ciascuno e gli capitano contro sua voglia”. Perché? Platone spiega anche questo nel prosieguo della sua opera e afferma che il male è “materia non ancora ordinata” e solo un’anima buona è in grado di orientare la materia verso il bene mentre un’anima non istruita, cattiva quindi, non potrà fare altro che mescolare la materia in modo caotico. Ciò comporta che un cattivo necessita di qualcuno che gli insegni il bene “perché il male non può perire, dal momento che è necessario che ci sia sempre qualcosa di opposto e contrario al bene” (4).

Per Aristotele “Ciò che ha potenza d’esser mosso o di agire in un determinato modo è buono; e ciò che ha potenza di essere mosso o di agire in un altro modo contrario al primo è cattivo”. Ogni cosa, quindi, può essere potenzialmente bene e male, ma non contemporaneamente; e se Platone vedeva il male come elemento da temere, Aristotele vede il bene come la forza in grado di agire. Di conseguenza, il bene e il male non sono più visti come “materia”, ma come “volontà”. Ciò permette al filosofo di affrontare i temi della morale e dell'etica nel suo libro. “La virtù dipende da noi, e così pure il vizio. Infatti, nei casi in cui dipende da noi l'agire, dipende da noi anche il non agire, e in quelli in cui dipende da noi il non agire, dipende da noi anche l'agire. Cosicché, se l'agire quando l'azione è bella dipende da noi, anche il non-agire dipenderà da noi quando l'azione è brutta”. Vien da sé che il malvagio è responsabile delle proprie azioni e il tutto fa capo sempre alla ragione perché un uomo ignorante può ritenere ciò che un male un bene (5).

Plotino non fa altro che riprendere il pensiero di Platone unendolo a quello di Aristotele. “La materia non ha l'essere in modo da partecipare del bene: solo equivocamente si dice che essa "è", poiché è giusto affermare che essa non è”. Se il male è materia disordinata, ma la materia non esiste, allora il male assoluto non esiste e ciò che riteniamo sia male non è altro che mancanza di bene, così come il buio è mancanza di luce. Sempre nel suo libro, Plotino afferma che il male primario è assenza di bene mentre il male secondario, quello morale, è l’”accogliere questa deficienza come un attributo proprio”. Con Plotino entra in scena la libertà di scelta degli uomini (6).

Nel pensiero di Sant’Agostino, invece, il male in sé non esiste eppure non è un’allucinazione. Quindi? È l’uomo con le sue scelte a seguire e praticare il male per due motivi: autodeterminarsi per allontanarsi da Dio e seguire l’oggetto del suo amore che non è più Dio (7).

Successivamente Kant sosterrà che l’uomo tende al male perché esso è radicato nella stessa esistenza dell’uomo e non potrà né essere distrutto né essere estirpato. Se si ha una propensione al male si avrà anche una predisposizione al bene che, nonostante sia più forte, non riesce a prevalere (8).

Sarà con Hegel prima e Nietzsche poi che il concetto di bene e male viene rovesciato. Se il primo sosteneva che il bene viene desiderato perché perfezione della realtà, il male sarà necessario affinché il bene possa essere funzionale divenendo, il male, elemento di soggettività. Nietzsche sostiene che ogni nuova idea che si presenta estranea al pensiero morale del potere viene immediatamente classificata come male in contrapposizione al bene, che coincide con l’ideologia dominante. In passato il bene era l’affermazione della persona, la “volontà di potenza” mentre il male era l’omologazione e l’accettazione passiva (9). Secondo il filosofo, solo con il Cristianesimo si è avuta quella che definì la “rivolta dei deboli” permettendo a sentimenti come il timore, l’umiltà e la pacatezza di diventare sinonimo di bene (10). “L’uomo è cattivo, così parlano con mio conforto i più saggi. Ah se fosse pur vero anche oggi! Giacché il male è la migliore energia dell’uomo”. Secondo tale visione, l’uomo è un illuso incapace di accettare l’assenza di uno scopo nella sua vita e le religioni e la morale non hanno fatto altro che fargli credere a delle menzogne. Il buono, quindi, è limitato alla falsa idea che ha scelto di seguire mentre per essere cattivi, si deve accettare la mancanza di un’esistenza, cioè di essenza, e per poter vivere in modo sensato bisognerebbe liberarsi da ogni etica, quindi inseguire i piaceri, il desiderio e l’irrazionalità. Il malvagio è un Oltreuomo perché ha preso conoscenza dell’assenza di uno scopo superiore, ha vinto la disperazione e ha imposto la sua volontà (11).

Il cattivo, il malvagio, il crudele è colui che si pone al centro del suo stesso universo disprezzando le regole altrui e mostrando una determinazione senza eguali pur di raggiungere i suoi scopi, una libertà indomabile. Ha intelligenza, coraggio e forza d’animo che, a volte, sono superiori a quelli di un eroe ed è forse questo quello che ammalia e strega, affascina e incuriosisce (12).

Sulla scia filosofica che il razzismo ha lasciato dietro di sé, pensatoricome Heidegger, Adorno e Bauman hanno sostenuto come l’olocausto fosse stato non un perfido disegno o il risultato di ancestrali istinti, ma un progressivo decadimento della razionalità umana. Theodor W. Adorno, nelle sue opere, afferma che chi compie il bene è colui che si impegna in prima persona a cambiare le cose, mentre la via del male attrae perché perdona tutto, ammette la debolezza umana e impedisce alle persone di assumersi le responsabilità perché saranno gli altri ad aver scelto per loro (10). Zigmunt Bauman, nella sua “Modernità liquida” dichiara che il bene deriva da un individuo che presenta una forte identità morale e psicologica mentre il male viene generato da chi non ha compattezza, disciplina e identità (13). In un ulteriore volume(14), Bauman, riprendendo le concezioni di Adorno sulle “personalità autoritarie” (15), afferma che i cattivi si siano sviluppati per autoselezione di alcune predisposizioni naturali del proprio carattere e determinando quello che è il “condizionamento comportamentale” per cui persone all’apparenza normali, a seguito di determinate circostanze, possono commettere azioni malvagie. Hanna Arendt considera le persone che commettono il male non dei mostri o dei sadici, ma delle semplici persone normali (16).

A chiudere il cerchio sarà Pareyson (17) il quale affermerà che “Il male non è assenza di essere, privazione di bene, mancanza di realtà, ma è realtà, più precisamente realtà positiva nella sua negatività. Esso risulta da un positivo atto di negazione: da un atto consapevole e intenzionale di trasgressione e rivolta, di rifiuto e rinnegamento nei confronti di una previa positività; da una forza negatrice, che non si limita a un atto negativo e privativo, ma che, instaurando positivamente una negatività, è un atto negatore e distruttore. Il male va dunque preso nel significato più intenso della ribellione e della distruzione”. Il male è legato alla libertà e si origina da esso e, poiché ogni atto è un atto di libertà, la scelta può coinvolgere l’essere o andare contro l’essere. Dio possiede in sé un’ombra, il male, e sarà l’uomo a decidere se assecondarla e ribellarsi a Dio. A differenza di Platone che vedeva Dio come causa di tutto, ma non del male, Pareyson afferma che essendo Dio origine di tutto è anche origine del male, ma non per questo ne è l’artefice: per poter compiere il male bisogna avere la possibilità di farlo e scegliere di farlo, e se Dio può farlo ma decide di non compiere il male è l’uomo, con le sue scelte, a rendere la possibilità un qualcosa di reale. 

 


Bibliografia/Sitografia

1) https://www.istitutocalvino.edu.it/blog/2012/11/socrate-il-male-e-generato-dallignoranza/comment-page-1/

2) Platone, Repubblica

3) Platone, Repubblica libro X

4) Platone, Timeo

5) Aristotele, Etica Nicomachea

6) Plotino, Enneadi,

7) https://it.wikipedia.org/wiki/Male#cite_ref-4

8) Kant, La religione entro i limiti della semplice ragione (1793)

9) Nietzsche, Al di là del bene e del male

10) https://www.giuseppemotta.it/breve-discorso-sul-male-capitolo-i/

11) Nietzsche, Così parlò Zarathustra

12) http://davidetruzzi.it/il-fascino-del-male-parte-due/

13) Zygmunt Bauman, Modernità liquide

14) Zygmunt Bauman, Le sorgenti del male

15) Theodor W. Adorno, Personalità autoritaria

16) Hanna Arendt, La banalità del male

17) Luigi Pareyson, Ontologia della libertà: il male e la sofferenza

 

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